17 giugno 2010

L’accordo mai rispettato con i lavoratori della Carlo Colombo S.p.A.

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Mercoledì 16 Giugno 2010 i lavoratori della Carlo Colombo S.p.A. decidono di entrare nella fabbrica di Agrate Brianza, già da tempo chiusa, e di accamparsi sul tetto della stessa.
Un gesto eclatante, una richiesta d’aiuto, ciò che rimane di una speranza che anche oggi, durante l’incontro che si è svolto tra la dirigenza e le rappresentanze sindacali, è stata strappata dalle menti e dai cuori di quegli uomini e riportata alla triste e immutata realtà.
Sono circa 70 persone in cassa integrazione da oltre un anno( di cui il secondo ottenuto grazie ad un interrogazione presentata al ministro Sacconi dall’Italia Dei Valori).
La suddetta società, dopo aver dichiarato lo stato di crisi e aver così ottenuto l’accesso agli ammortizzatori sociali per i lavoratori, apre una nuova sede a Pizzighettone cambiando però la ragione sociale, condizione indispensabile e necessaria per assumere nuovo personale, ovviamente a termine. Ad operazione completata, il nome della società di Pizzighettone torna magicamente e richiamarsi “Carlo Colombo”.
Oggi, dopo quasi due anni di incontri e trattative, i lavoratori chiedono che l’accordo siglato, anche dalla dirigenza, venga rispettato soprattutto nella parte in cui la stessa si impegnava a ricollocare i lavoratori.
Ebbene, oggi questi uomini stanno chiedendo di lavorare, di poter usufruire di un diritto che la nostra Costituzione sancisce in maniera inequivocabile.
Molta stampa è accorsa oggi e la mia speranza è che a questi lavoratori e alle loro famiglie, venga data l’attenzione che meritano, ma ancor più auspico che il Governo si svegli dal suo torpore e decida di tendere una mano a tutte quelle piccole e medie imprese che sono in stato di sofferenza e che se aiutate potrebbero determinare la sopravvivenza di molte famiglie.
Invito poi il Ministro Sacconi a combattere tutte quelle forme di speculazione che nascondendosi e giustificandosi con la parola CRISI, abbandonano a se stessi molti lavoratori non più giovanissimi accollando allo Stato i costi di scelte orientate al profitto personale sulle spalle di un’Italia ormai sempre più ricurva.
Il mio pensiero finale va a quegli uomini che da ieri sera sono accampati sul tetto di una fabbrica specchio di un bel Paese a cui non hanno lasciato più nemmeno le briciole.

 

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